PRESENTAZIONE

 

Nel 583 Cassiodoro, venerando e venerato vegliardo, raccolse dai suoi monaci, nell’abbazia di Vivarium, una confidenza e un grido di aiuto: “…quid prodest cognoscere nos vel quae antiqui fecerunt … si quem ad modum ea scribere debeamus, omnimodis ignoremus ?”. Non sanno in alcun modo, omnimodis, sia pronunciare sia scrivere un buon latino.

E l’anziano studioso, riferimento e roccia di stabilità del sapere per tutto il suo tempo, provvide. Provvide con la compilazione di un trattato che sarebbe servito a salvare la conoscenza della cultura antica trasmessa e diffusa dal supporto linguistico e, conseguentemente, concettuale, di quella stessa cultura: la lingua latina.

Negli ultimi tre secoli, gli studi paleografici e filologici hanno investito tutto il colossale impianto di letteratura, scienza, filosofia, arte e musica che ha generato la civiltà occidentale e, da questa, l’espansione che da essa si ritrova, oggi, nel fenomeno, ormai ineludibile, della globalizzazione.

Una considerazione, in queste dinamiche di studi rinnovati, a volte con dei risvolti di vere e proprie rivoluzioni, si impone: il coraggio della Chiesa Cattolica occidentale di accettare e porre in discussione modi, metodi e stili secolari sui quali si fondava tutto l’impianto teologico, artistico e comunicativo della Fede. Grazie a questo coraggio, la Chiesa ha promosso, con la paleografia e la filologia, non solo aggiornamenti ma addirittura mutamenti di prospettiva senza cedere a rimpianti, nostalgie e affezioni culturali e artistiche.

Un luogo che racconta di paleografia e di filologia è quello nel quale opera il Pontificio Istituto di Musica Sacra in Roma, ormai da più di trent’anni della sua più che secolare esistenza: è l’Abbazia di San Girolamo in Urbe, contigua all’Aurelia antica, una delle arterie sulle quali hanno percorso i passi dell’espansione la romanità e la Fede cristiana. Il genio creativo di Pio XI, fedele al modus operandi della Chiesa occidentale che adoperava per lo studio della Bibbia gli strumenti propri di critica paleografica e filologica, aveva voluto creare un luogo deputato e dedicato esclusivamente ad una operazione di carattere critico e scientifico. Quella del Papa fu una straordinaria e lungimirante decisione, al fine di dare dignità e credibilità, dopo l’esame critico affidato ai moderni mezzi di indagine, al testo latino che aveva strutturato, per un millennio e mezzo, l’Europa e la civiltà cristiana ed occidentale: la Vulgata. Volle, pertanto, che si costruisse ex novo un’Abbazia, per ospitare una comunità monastica che lavorasse senza ostacoli e senza condizionamenti, all’edizione critica della versione latina della Scrittura che San Girolamo aveva elaborato nel V secolo. Tale versione, chiamata, poi, della Neovulgata, sarebbe stata edita e proposta alla cultura contemporanea, mediante i moderni criteri di comparazione, verifica, ricerca delle fonti accreditate ed autentiche. Una editio magis critica.

Editio magis critica iuxta Sacrosanctum Concilium 117 è il sottotitolo del volume di Johannes Berchmans Göschl che presentiamo. Da qualche anno il PIMS ha inaugurato e dato vigore ad una collana, la prima strutturata in termini di continuità e di vasti orizzonti, nella sua storia. Il nome della collana è: Saggistica e didattica; sono i due parametri con i quali si misura l’attività di una istituzione accademica di respiro universale, che si fregia, appunto, del nome di “università”. Johannes Berchmans Göschl, con questo Commentario al Graduale Novum, presenta le ragioni e dimostra con materiale melodico/ritmico diretto e ampiamente citato, le ragioni che hanno portato alla genesi del Graduale Novum. Era necessario un nuovo testo di Canti Gregoriani? La risposta è nelle osservazioni che ho scritto aprendo questo testo di presentazione: si; era necessario. Lo dimostra il rigore dell’operazione editoriale e del tempo dedicato ad essa: complessivamente 41 anni. E, in seconda istanza, era necessario confrontarsi, mediante le moderne discipline di indagine, con tutto quanto avrebbe potuto fare ulteriormente fiorire le ragioni che avevano portato, nel 1908, alla edizione, la prima moderna, del Graduale Romanum. Un nome, molto caro al Pontificio Istituto di Musica Sacra, ritroviamo nel gruppo di lavoro che si dedicò a questa operazione scientifica fin dalle origini e per molti anni, quello di Eugène Cardine, monaco di Solesmes e padre della semiologia nella seconda metà del XX secolo.

Le problematiche che i moderni studi dedicati al Canto Gregoriano, presentano e le contrapposizioni tra gli studiosi mediante le pubblicazioni di studi e di testi di diverso tenore ed orientamento, potrebbero far supporre l’esistenza di una conflittualità tra scuole di diverso pensiero. Forse è anche vero, in parte, tutto questo. Ma è esattamente tale diversità che, letta come ricchezza e non come sterile affezione ad una sola prospettiva di lavoro scientifico, rappresenta la vitalità del Canto Gregoriano. Anche questo commentario al Graduale Novum, racconta di un rigoglioso percorso di arte del canto della Liturgia, dal quale, come a cascata, nascono tutti gli elementi che caratterizzano la Musica “forte”.

 

Mons. Vincenzo De Gregorio

Preside del Pontificio Istituto di Musica Sacra